domenica 12 maggio 2013

10 minuti: racconto breve.


Luce. Buio. Buio.
Luce. Buio. Buio.

“Devo ricordarmi di cambiare la lampadina del pianerottolo. Questo ritmico alternarsi di luce-buio mi rende matto. Nei film di alta tensione, con una camera puntata alle mie spalle, e una musica che lentamente sale verso suoni più acuti, mi aspetterei il brillare fugace di una lama di coltello, e gli occhi del mio assassino riflettere sulla lama prima che questa si conficchi definitivamente nella mia vita. Senza mostrare nient’altro di lui. Chi vede il film non deve sospettare di nessuno e sarebbe costantemente alla ricerca degli occhi inquadrati attraverso il pugnale.”
Richiudo la porta di casa alle mie spalle e il freddo di metà novembre mi accoglie nel monolocale in cui vivo. Al quinto piano, condominiale. Le chiavi sulla mensola portaoggetti, il cappotto lo tengo ancora addosso. Prima voglio accendere il riscaldamento e farmi una bella tazzona di the caldo. Lo scroscio dell’acqua contro il liscio interno della tazza di ceramica verde che mi hanno regalato da Barcellona. Sulla parete esterna la rappresentazione della Sagrada Familia. “Basta così.”. Una mano al fornello e l’altra accompagna la tazza a svuotarsi nella teiera che è pronta con il coperchio rovesciato. Adoro la luce blu del fuoco dei fornelli. Me la godo spegnendo la luce giallastra dell’ingresso. Fuori si vede in lontananza un lampo. Richiudo la teiera.
“Deve esserci un neon rotto anche in cielo…”
Il tuono si sente come ovattato. Ancora è lontano. Ma comunque se ne avverte la potenza. Un lungo e greve suono roboante che nel silenzio e nella penombra riesce a penetrare il corpo con le sue onde basse e lente.
Aspettando il fischio della teiera, accendo il televisore. Mi colpisce subito la pubblicità dei giocattoli per natale. Bambole, macchinine, giochi di società, videogiochi, consolle, pupazzi e mostri di ogni sorta. “Pubblicità infinita…” Cambio canale. Calci e pugni tirati in maniera sconsiderata da un agente texano con tanto di cappello. “Come fai a non scrivere un libro con le cose più assurde che riesce a fare questo personaggio?!” Cambio canale. Un oggetto non ben identificato viene venduto a un prezzo di occasione se si acquista per telefono. “Ma siamo nell’epoca di internet, perché ancora esistono le televendite?” Il fischio arriva. Sale, sempre più acuto, nel giro di pochi secondi. Accendo la luce del forno, quella in alto, vicino la kappa, con il clic morbido che illumina i fornelli. Spengo il fornello. Bustina o erbe? Le porto al naso. Limone da una parte, frutti di bosco dall’altra. Voglio essere dolce stasera.
Erbe siano.
Cassetto, cucchiaino. Lo immergo nel morbido scroscio delle foglie secche che gentilmente si scostano al passaggio dell’utensile. Arrivo al fondo e risalgo con una piccola inclinazione. Qualche foglia rimane nella concavità morbida del cucchiaio e qualche altra cade. Non vuole lasciare il gruppo. Apro il coperchio della teiera e verso il contenuto del cucchiaio. Ora c’è da aspettare.
Lascio il cappotto su un attaccapanni sempre troppo carico. “ Devo decidermi a sistemare le giacche leggere da un’altra parte, o prima o poi qui cade tutto.”  La televisione non mi aiuta in questa serata. Proviamo con lo stereo.
Anita Baker. Sembra che questa penombra voglia obbligare il mio animo a essere blu questa sera. La stanza si illumina per un attimo. E poi un tuono. Questa volta più forte di prima. Più cupo. Scuote i nervi, i vasi, i tendini.
Mi avvicino alla finestra della cucina, le macchine passano costantemente in strada, qualcuno si appresta a rincasare con un ombrello a spicchi colorati, correndo perché arrivano le prime gocce. "Ma è vera questa cosa che se corri sotto la pioggia ti bagni maggiormente che se cammini?" Me lo hanno detto da piccolo e non mi sono più informato.  "Certo non sono un fisico, ma la spiegazione che mi do è che essendo un poco inclinato in avanti, la superficie corporea che si offre al cielo è maggiore… mah chissà.."
Nel palazzo di fronte qualcuno sta guardando la tv. Me lo dice la luce della stanza buia che cambia continuamente colore dal celeste al rosa al verde. Alternandolo con il nero, dello stacco tra le pubblicità.
Chissà se qualcuno starà guardando me alla finestra e mi spia dalla sua oscurità come sto facendo io con il mondo. Cosa penserebbe vedendomi?
L’infuso deve esse pronto, l’odore penetra per le fosse nasali e si aggancia ai recettori che, pronti, inviano lo stimolo elettrico attraverso la lamina cribrosa al bulbo olfattivo e da qui indietro verso l’area limbica. "Che poi area limbica, del limbo… che vuol dire? Dovrò capire questa cosa." Mi avvicino alla teiera, la sollevo e ne verso il contenuto nella tazza spagnola. 
Odoro. 
"Da piccolo mangiavo le more appena prese dai rovi, e nonostante le mani piene di graffi continuavo a cogliere, pulire strofinandole sui pantaloni e lanciare il frutto nero, globulato, in alto per prenderlo al volo direttamente con la bocca. Quanto tempo è passato?"
Intanto un altro lampo, illumina la cucina e il tavolino svedese con quel caratteristico segno del coltello, come una cicatrice e le sedie di plastica richiudibile. Baker mi coccola, il divano mi chiama, mi siedo. Chiudo gli occhi e porto la tazza bollente alla bocca, soffio e il vapore appanna gli occhiali. Sorrido, ci casco sempre! Aspetto qualche altro secondo e poi lentamente e con coraggio faccio passare il liquido scuro dalla tazza attraverso il labbro inferiore dentro la cavità orale. 
Un brivido si diffonde attraverso il collo, e il cuore si scalda. Poi più in basso nel diaframma, nello stomaco e nella pancia. Ma non si ferma e continua verso le cosce e si ferma solo quando arriva ai piedi. Mi accorgo di non avere ancora tolto le scarpe. Prima il tallone sinistro sulla punta del piede destro, tiro come fosse un apribottiglie, e poi il contrario e ora anche i piedi sono liberi. Un altro sorso.
Silenzio.
Un altro sorso. 
Luce bianca.
Il suono profondo questa volta viene seguito da un gracchiare sordo e secco. Potente, istantaneo, e poi ancora il rumore profondo. E la pioggia finalmente bussa al vetro della finestra della cucina. Puntuale. L’aspettavo.