sabato 25 gennaio 2014

Non lo so.

Non è abbastanza. Sognare, crederci e impegnarsi, non basta.
E' un minimo, ma così come la benzina da sola non avvia il motore, sognare, crederci e impegnarsi non basta.
Che manca? Che altro c'è che manca?
Sono ossessionato da questa domanda.
Manca il tempo? La pazienza? Della serie "Goog things come to those who wait!"?
Manca lo spazio? Il posto dove realizzare qualcosa? E dov è questo spazio? questo posto, dov è?
Manca qualcuno? Una persona che possa insegnarmi, accogliermi, e che io possa sostenere e comprendere?
Manca qualcosa? Manca sempre qualcosa. L'equilibrio, manca.
Manca l'equilibrio e il centro di gravità cambia continuamente. Mi servirebbe una stabilità in questa vita. Qualcosa che mi dia una certezza in questo momento. Sono stanco di mettermi sempre in discussione e mettere sempre tutto in discussione. Vorrei forse non pormi domande sulle scelte mie e degli altri, sul passato e sul presente, su cosa pensa la gente e cosa vuole la gente, su cosa voglio io e perchè, su questo e quell'altro. Vorrei per un giorno, adesso, avere un bastone.
Una sicurezza c'è, è vero, ma non è abbastanza per soddisfare il bisogno di libertà, anzi. Forse è quella è una cosa che mi lega. Ma poi cosa intendo per libertà? Volare? Camminare? Fare ciò che voglio? Essere chi voglio? Non lo so.
So che così non va.
Sogno, ci credo, e mi impegno. Ma non basta.
Nè da solo, nè in compagnia.
Come quella volta che decisi di trasferirmi a Bisceglie dopo 11 anni vissuti a Roma, di cui gli ultimi due in affitto. Con i miei tempi, i miei spazi. Quasi.

martedì 21 gennaio 2014

D.O.

16 gennaio 2014
Arrivo puntuale, anzi in anticipo, in sede. Sono vestito in tuta e indosso un cappellino grigio di lana. Nel corridoio della segreteria, al secondo piano, le voci si mischiano, anche se bisbigliate. I colleghi/e sono li, quelli che devono discutere la tesi oggi. Qualcuno ripete e qualcuno si guarda allo specchio del bagno. Qualcuno in ritardo. La segreteria in poco tempo diventa un via vai di gente. Io li fermo che saluto e incoraggio. Sono incantato dall'energia e tensione che si respira, mezz'ora prima dell'inizio delle discussioni.
Il tempo passa velocemente e mi sistemo in aula magna, in modo da ascoltare e vedere i due gruppi che parleranno. Incomincia il rito. Si parla, si clicca sul pc per scorrere le slide, si parla, si clicca, si parla e si clicca. Poi applausi. Domande della commissione e ancora si parla e si clicca.
Poi il secondo gruppo. Anche loro, stessa procedura, si parla e si clicca. Applausi, domande, risposte e clic. Anzi clics (plurale?!?!?!?!). Infine applausi per i due gruppi. Ci si rilassa, ci si fa gli auguri e i complimenti. E vado via, verso casa, aspettando il giorno dopo. Sto bene. Solo solo un poco teso, ma di quell'energia positiva e propositiva. Quella che ti fa svegliare una domenica mattina a 13 anni per fare delle gare di atletica in un paese vicino, consapevole dell'importanza di quel momento. Teso, eppure rilassato, concentrato. Forse quasi Zen potrei dire. Il bersaglio è fermo e tu incocchi la freccia, ad occhi chiusi, perché il bersaglio lo conosci bene, e hai perfettamente idea di come, quando e dove tirare.

17 gennaio 2014
Arrivo trafilato, un po accaldato in sede. Purtroppo i mezzi di Roma sono bizzarri; quando sei rilassato e te la prendi comoda, sono puntuali e precisi, quando controlli l'orologio ogni 30 secondi, fanno ritardi incredibili. Vabbe comunque sono arrivato in sede un minuto prima dell'appuntamento. e tanti altri mancavano.
Sguardo ai colleghi, amici che elegantissimi devono discutere, un saluto rapido alla segretaria. Mi fermo e mi siedo appoggiato con i gomiti sulla scrivania della segreteria, a chiacchierare per cercare di distendere la mente e le idee. Entra un prof e mi fa i complimenti per i disegni. La voce incespica in uno strano grazie, pronunciato come se fossi un cinese balbettante, lui insiste con delle battute e quello che riesco a pronunciare è un prolisso, impavido e agognante: "SI".
Tutti in aula magna. Si comincia. Mi preparo vicino alla postazione perchè sono il primo. Mi guardo intorno e un prof si avvicino per dirmi che una slide non funziona bene. Penso "ok, no problem, ora risolviamo" e invece la mia bocca produce un: "ok e come facciamo?". Lui mi aiuta, considerando la mia situazione di agitazione crescente e io accanto a lui che annuisco, perchè avrei fatto le stesse cose che ha fatto lui, se avessi avuto la capacità di ragionare. Ma la mia mente è bloccata sul bersaglio. Target Locked, come in un gioco di aerei che facevo quando avevo 15 anni, al pc. Tutto pronto. Mi allontano per lasciare la parola al relatore, il direttore della scuola. Mi avvicino, carico come mai forse nella mia vita. Carico di quell'energia, che da 6 anni è confluita in una azione. Di quell'energia di tutti i compagni che sono li a guardare e ascoltare quello che stai per dire. Di quell'energia che mi ha unito ai compagni, alcuni anche amici. Di quell'energia dei tuoi genitori che ti guardano, dei docenti che sanno il lavoro e i sacrifici che facciamo, delle famiglie dei colleghi e degli amici che conoscono benissimo le rinunce e le piccole soddisfazioni che questi 6 anni hanno comportato. Di quell'energia che ti fa dare il massimo perché per qualche minuto, la sala intera ascolterà quello che stai per dire. Di quell'energia di quando sei in campo e sugli spalti gremiti di gente, il pubblico è li per vedere la tua prestazione. Non si può sbagliare. Matematicamente impossibile.
Ringrazio Giacomo e comincio a parlare. La voce pronuncia in automatico parole provate e riprovate nei 15 giorni precedenti. Qualche sorriso, qualche slide non funziona perfettamente, ma è tutto ok, non esiste la perfezione. Finisco di parlare con un "Grazie anche da parte di Ophelia". Parte l'applauso, sorrido, ancora non capisco. Quando tutto si placa una domanda da un prof, di poter vedere le tavole disegnate per la tesi, mi avvicino con la cartellina verde acido e mostro, spiego alla commissione e al pubblico, come fosse la cosa più normale del mondo. Come fossi li per bere dell'acqua. Poi applausi e mi siedo.
Lentamente ritorno a sentire il cuore, il respiro, la testa, le mani e tutto il resto del corpo. Lentamente mi accorgo che è finito un percorso. Vedo il traguardo a pochi metri, posso rallentare e gustarmi questo momento.
Parlano i colleghi, parlano delle loro discussioni, delle loro ricerche, delle loro fatiche e mi accorgo che ci accomuna sopra ogni altra cosa, la voglia di raggiungere questo traguardo. Gli sguardi di comprensione, di tensione e di rilassatezza si alternano sul palco.
Il giorno dopo, taglio il traguardo. 20 gennaio 2014, D.O. Mentre una collega legge le parole che un medico di nome Ippocrate ha pronunciato per primo diversi millenni fa, ti accorgi di quanto è importante il lavoro che hai scelto di fare. Ma questa è un'altra storia.