venerdì 26 ottobre 2012

Blu

Gli occhi blu non mi piacciono. Così credevo. Ma come al solito tendo a generalizzare. Gli occhi blu mi fanno pensare al freddo. Se mi fermo a "vedere" ho solo la sensazione di freddo e distaccamento. Ma non è così. Mi spiego: "non è così" significa che non riesco a "vedere e basta". Non riesco. Mi fisso, e li fisso. Entro in quegli occhi, per cercare di leggere una storia forse. Entro perché sono naturali, semplici, profondi, ricchi, vispi, tristi. E quegli occhi guardano me. Non una volta, non due volte. E mi accorgo che cercano qualcosa. E mi sento osservato, quella sensazione che avvertono le persone quando io le fisso, apparentemente senza motivo. E' imbarazzante e scoppio a ridere. E pure gli occhi blu ridono e sono imbarazzati. Che poi non sono blu, ma celesti. Continuiamo a guardarci. Continuerei per sempre. Ed è sempre così, forse sono un esteta. Mi piacciono le cose belle. Mi piace osservare, ammirare, (adulare?) le cose belle. Poi se penso che voglio quegli occhi più vicino mi blocco. Anche se fosse la cosa più naturale del mondo. Ognuno ha le proprie cicatrici, le proprie aderenze, i propri blocchi. Gradirei un osteopata per queste mie ferite. Perché l'osteopata cura le cicatrici. Anche profonde. Molto profonde. Ma questa è un'altra storia.

domenica 21 ottobre 2012

Caffè

Sono un estremista. Lo so. Il caffè si beve liscio, senza zucchero. Ma dato che la vita è amara, almeno nel caffè ce lo metto un pochino di zucchero. Ma non esiste che si aggiunge il latte! Il caffè macchiato lo prendo solo quando il caffè fa schifo. Al bar il caffè è liscio. Anzi: al caffè, il caffè è: un caffè! A meno che tu non lo beva all'estero, allora il caffè diventa Espresso. Altrimenti ti portano una tazzina con del liquido con un vago odore di caffè.
Quando giocavo di ruolo da Valerio il caffè era il tazzone. Tanti diranno che non lo apprezzo così, invece non sapete cosa vi perdete. Il tazzone di caffè americano si lascia bere e pure bene. Bello caldo, quell'odore pungente. Di inverno, di notte, tra un lancio di dadi e un altro, una spadata data e una spadata presa, il caffè lungo (ma lungo) ti rinfranca. Di notte.
Il caffè di notte tanti non lo bevono. Non fa dormire. Beh... dipende dal caffè. E dipende dal perché vuoi il caffè di notte. Una tappa fissa è il caffè di Paolo il barista del tre gazzelle prima di coricarsi a qualsiasi orario della notte. Li ad esempio lo prendo a volte macchiato.
Giocando di ruolo come ho detto prima, il caffè ti accompagna nelle imprese del tuo personaggio. Chi di noi, poi, non ha mai preso il caffè per studiare fino a tardi. Per una pausa in autogrill di notte, lungo un'autostrada deserta, "Attraversando".
 E poi c'è chi lavora e fa la pausa caffè. Sempre e comunque, si arriva a sforare se non si sta attenti. Gente che ti dice che in 1 giorno ha preso 2mila caffè e sta a "3mila"...
E una notte quando meno te l'aspetti, prendi un caffè lungo. Come non lo bevevi da tanto tempo. E cominci a leggere e scrivere. Leggere, pensare, scrivere. Leggere, ridere, scrivere, pensare, ridere, leggere, scrivere e così via. Indaghi, attraverso delle semplici lettere, che si uniscono a formare parole e periodi, in una introspezione fatta senza specchio. Senza ragione. Senza conoscenza. Ma fatta solo di parole. Guardi l'orologio e pensi che tanto altri 5 minuti puoi rimanere a pensare e scrivere. Ancora caffè. Odore pieno, carico. Ti inebria e puoi ricominciare. Rialzi gli occhi verso l'orologio, e non ti spieghi quando il tempo ti ha rubato la notte. Guardi fuori, è ancora buio. Ma lo sarà per poco. Vuoi ancora caffè. Ma devi anche riposare.
Non si può vivere di caffè.
 La notte è uno dei momenti migliori per introspezionarsi... (che schifo di termine). C'è silenzio, c'è buio, ci sei tu contro te stesso. Non serve lo specchio.
Certe notti serve solo il caffè, ti fa vedere oltre i muri. Poi però, quei muri restano. Perchè ci hai messo una vita a costruirli, non è giusto che vengano messi sottosopra in poche ore. Da un caffè.
E non mi sono drogato.
Era solo un caffè, come quando devi fare pace con una persona e le dici: dai ci vediamo, ci facciamo due chiacchiere e un caffè. Non lo vuoi, ma sai che è di compagnia. Ma questa è un'altra storia.

giovedì 20 settembre 2012

Tango

Una sera di circa un anno fa, mentre pensavo che avevo bisogno di conoscere nuova gente, cercando su internet, sono "inciampato" in questo corso. Alla domanda "che vado facendo?!?!?!" è partita la risposta dal mio profondo me: "comunico". Adesso che ho preso diverse lezioni e ho partecipato ad alcune milonghe, continuo a inciampare, ma divertendomi. Non per il ballo, il tango non è un ballo. Ma per il livello di comunicazione che ogni volta cerco di raggiungere con la partner. Non si parla nel Tango. Ci si guarda all'inizio, poi è solo corpo. Anzi solo due corpi. E come ogni legame che esiste in natura, i corpi hanno bisogno di comunicare per funzionare. Legami fragili, lievi, pesanti, di petto, di pancia, sfiorati, timidi, arroganti. Così nasce la comunicazione. Così nasce il tango. Non cambia la vita, ma la riempie di colori. Nuovi. Come quando ti svegli una mattina presto che fa freddo e senza pensarci troppo ti trovi sul lungo mare a guardare cambiare il colore del cielo. Ma questa è un'altra storia.

venerdì 29 giugno 2012

Stelle cadenti

Quasi quasi ci credo. Che se vuoi intensamente qualcosa essa si realizza. E poi devi essere in grado di coglierla. Non si tratta della notte di S Lorenzo, in cui vedi una striscia luminosa, pensi a qualcosa e ti aspetti che si realizzi. Parlo del fatto che hai un'idea, provi a metterla in atto e ti fermi per un problema insormontabile. Poi qualcuno che può superare quel problema lo fa e nn sa che farsene della cosa fatta. E li io la colgo. Questo è successo fin ora con il campo di beach volley che è "sorto" sotto casa. Ci ho pensato, ci ho provato. Ma poi nn avevo trovato nessuno che mi aiutasse nel lato economico della cosa. Ho mollato tristemente. La settimana scorsa vengo a sapere che al parco sotto casa è stato costruito un campo. Vado a informarmi. Non sanno come gestirlo. Lo so io, dico loro. Ottimo mi dicono. Vedo il campo, qualità media... con qualche aggiustatina si migliora la sabbia. Vabbe proviamoci. Domani devo capire cosa e come poterlo gestire. Riunione e pianificazione. E in queste cose si vede che gli amici si danno da fare. Ognuno con le proprie capacità. Chi con la pubblicità, chi con l'arte medica, chi con le parole, chi con il gioco. Tutti loro hanno una parte. E ti ritrovi a pensare che la persona che sei ora, è un insieme di tutte le persone con cui hai avuto a che fare. Ma questa è un'altra storia..

mercoledì 18 aprile 2012

QUELLO COSì

Mi fa sempre sorridere questa situazione. Sono in sala pesi, o sala attrezzi, ognuno la chiama come crede. Arriva una persona che non si ricorda il nome di un esercizio, o che non associa il nome a un movimento e pone la fatidica domanda:
- qual è il Rematore?
e io, che da un po’ di tempo mi sono fissato che devo imparare a spiegare le cose senza usare i gesti, inizio a far seguire alle parole altre parole. Poi mentre sto spiegando, la persona mi fa:
- aaaaaaaaaaaahhha! QUELLO COSI’!!!! (e mima il gesto di portare il gomito verso l’alto dietro).
Io sorrido perché come al solito penso che i gesti siano molto più eloquenti di mille parole, ma come al solito do un semplice rinforzo positivo, tipo:
Chiaramente non accade solo su questo esercizio, ma su tanti altri. Ma è come se questo sia il più ricorrente, vorrei fare una statistica su quante persone conoscano, anzi riconoscano tale movimento. E ogni volta che lo spiego mi interrogo sul perché questo movimento si chiami in gergo Rematore visto che di remata non ha proprio nulla se non i muscoli coinvolti. E’ come se l’estensione del ginocchio si chiamasse Calciatore … il ché fa abbastanza ridere, credo…
Boh vabbe…
Poi ci sta il Concentrato, la flessione monolaterale dell’avambraccio sul braccio, con il gomito in appoggio sulla coscia, a gambe piegate. Chiaramente quando inizio a pronunciare tale periodo una persona si è già addormentata, forse per questo bisogna dare un immagina che sia eloquente. Concentrato… ma chi di noi quando è concentrato si mette in quella posizione assurda? Io quando mi concentro sono in tutte le posizioni. Mi ricorda l’omino che un tempo appariva quando cliccavi con il mouse su un icona, prima dell’avvento della clessidra. Mi ricordo che c’era un omino, tipo appoggiato a una scrivania… non so… o sulle sue stesse gambe... devo andare a controllare che non sono nitidi i ricordi.
E poi ci sta il Sumo Squat. Come si posizionano i lottatori di Sumo? A gambe aperte, con le mani sulle ginocchia. Da questa posizione è chiaro che piegando le gambe si effettua un lavoro principalmente finalizzato ai glutei. Come lo spiego? Posizione dei piedi molto larga, gambe leggermente piegate; le ginocchia non devono superare la punta del piede nel piegamento; la discesa è verso dietro, come a volersi sedere. Normale che a un certo punto, una persona che si immagina quello che spiego, mi ferma dicendo:
E io, nuovamente sorrido, pensando a quante volte in passato, adesso, e quante volte in futuro, ho utilizzato, utilizzo e utilizzerò parole per esprimere una cosa che a gesti è molto più semplice e diretta. Come un bacio rubato ad un appuntamento, ma questa è un’altra storia.

sabato 10 marzo 2012

Correnti

Correnti.
Di energia, di acqua, di aria, di persone. Correnti di pensieri.
Visibili o invisibili. Correnti.
Quando sei dentro non te ne accorgi a meno che non pensi di poterti vedere dall’alto. Immagino gli animali acquatici delle varie correnti come le meravigliose tartarughe nel film “Finding Nemo”. Immagino il fluire del tutto casuale e rapidissimo dei pensieri di uno “psicopatico”, o di un genio. Immagino Leonardo da Vinci preso nei suoi studi e nei suoi pensieri, su un tavolo di pietra mentre “apre” un addome per cercare di capire dall’osservazione diretta strutture e funzioni. Immagino mongolfiere, aquile, passerotti, rondini che sfruttano le correnti per spostarsi su questo mondo. O meglio sopra questo mondo. Immagino aquiloni che vorrebbero liberarsi dai legami. Vorrebbero librarsi in volo e farsi trascinare dagli (e)venti, ma invece sono bloccati a terra da un filo, seppure sottile e fragile. Quanti di noi sono aquiloni?
Sono stato in questo locale a Bisceglie ieri sera. Si chiama Glam House… il nome dice tutto… Senza stare a commentare l’arredamento o le persone che frequentano questo posto, che comunque sono elementi caratterizzanti, mi sono soffermato sulla quantità di gente presente. Dal classico tipo appoggiato al bancone con un drink in mano che sorride a qualsiasi ragazza che gli passa davanti, al classico ragazzino che bevendo un cocktail si sente qualcuno, passando per la classica ragazza che va per farsi offrire da bere e la classica ragazza che passando tra la gente sgomita per passare in mezzo a quelli che vogliono toccarle il culo senza troppa difficoltà. Mi sono guardato molto intorno, come ogni volta che faccio una cosa nuova. Non so se dipende dal fatto che voglio capire dove mi trovo, diciamo per curiosità, o perché non mi sento a mio agio se non ho il pieno controllo delle cose (dell’ambiente in questo caso) con cui ho a che fare. Penso di essere l’unica persona la mondo ad esempio che prima di accendere un pc appena comprato si è letto le istruzioni… ma vabbè… si sa che sono ossessivo…
Guardandomi intorno comunque ho visto che il soffitto è a punta. Non so spiegare bene il significato di “soffitto a punta” perché di architettura non capisco niente, diciamo tipo le casette che disegnavo quando ero piccolo. Grosse travi di legno da una parte all’altra delle pareti. Scendendo con lo sguardo, si ritorna alla normalità dell’uomo. Gente che danza sulle ballatoie, vicino al lampadario centrale che scende fino a terra, all’interno del bancone dove due bartender servono alle persone che si accalcano sul balcone agitando le braccia verso di loro e verso il lampadario centrale, che appunto si allunga in alto fino al soffitto, e di nuovo le travi di legno scuro e il tetto, come quello delle case di montagna. E quando sono arrivato di nuovo su con lo sguardo mi sono accorto della corrente del mio sguardo. Partito dal tetto e ritornato al tetto. E da su poi, mentre guardavo le pareti di pietra, non ero più con i piedi per terra. Anzi ero sul tetto e guardavo la calca di gente dall’alto. Qualcuno mi passava davanti, gruppi in fila indiana che si incrociavano descrivendo croci o ics. O cerchi. O curve. Qualcuno più veloce, qualcuno costretto a tenersi per il braccio per non perdere il/la compagna. Ma il massimo del movimento era nel punto centrale. Dove tante braccia mostravano lo scontrino alle due persone centrali. Tutte quelle braccia mi hanno ricordato un poco il movimento dei peduncoli o le fimbrie, le espansioni digitiformi che “afferrano” l’ovulo per portarlo nelle tube ovariche. Poi sono ritornato a guardarmi effettivamente intorno e ad essere anche io umano, senza ballare, ma comunque facendo parte delle correnti che determinavano sopra il mio volere il movimento e la mia posizione. Poi siamo arrivati vicino la porta di ingresso (o di uscita… dipende dai punti di vista) e finalmente fuori ho di nuovo respirato l’aria del mare, che la corrente aerea di quel momento aveva portato verso l’entroterra. Qualche chiacchiera li fuori e poi finalmente mi sono riappropriato della mia corrente e quel movimento alternato degli arti inferiori, che ormai è diventato automatico, mi ha condotto verso la macchina. Ma ora mi chiedo… era veramente la mia volontà o era anch’essa una corrente che mi conduceva alla macchina e a casa e al letto senza che io me ne accorgessi in maniera cognitiva e razionale?
… ma questa è un’altra storia.

domenica 4 marzo 2012

Mandorla e cocco

Come ogni giorno, anche oggi vado in biblioteca a studiare. Tra scaffali, silenzio, odore di lavanda riesco a concentrarmi e ad isolarmi dal resto del mondo.
Come al solito la signora mi chiederà il tesserino e mi dirà che devo conservarlo meglio e io le risponderò che "appena esco vado a plastificarlo!" e le sorriderò per accattivarmela un poco.

Entro attraverso il portone di legno verde, antico di un centinaio di anni, con la serratura di ferro battuto che ha raschiato il pavimento di pietra bianca per almeno un centimetro e supero il colonnato. Più avanti sulla destra c'è l'ingresso. Salgo le scale con i gradini alti come li facevano un tempo, sempre di pietra e si comincia a sentire il tipico odore della lavanda che riempie l'aria. Poi è pure estate e certamente il freddo della pietra è confortevole. Aumenta la voglia di aprire il pc e scrivere per la tesi, circondato da libri e disegni che raffigurano i simboli delle società segrete medievali.

La porta è aperta, come ogni giorno e preparo il mio sorriso migliore.
Un passo e mi si blocca la faccia in quel ghigno assurdo che mi fa sembrare una maschera di Bacco. Riesco a fare solo i primi due passi. L'addetta della biblioteca non è la solita signora gentile che si preoccupa dello stato di slaute del mio tesserino spiegazzato. No... E' una ragazza. Anzi... è Luisa.
Luisa, il mio primo amore, di quando avevo 15 anni! Avevo perso i suoi contatti ormai da 10 anni... non sapevo più niente di lei. Era finita male tra noi. Come tante storie "adolescenziali" in cui uno dei due perde la testa per un'altra persona. Che poi non sono solo adolescenziali...
-Luisa?!?!-
-Francesco?!?!-
L'abbraccio è stato goffo, rigido, morbido, intimo, stretto. In pochi attimi in cui i corpi si sono avvicinati, ho sentito il solito odore di mandorle nei suoi capelli ricci, lunghi fino alle spalle. La sua schiena un poco rigida dovuta agli anni di danza classica. L'odore della sua pelle, di cocco. Non era cambiata una virgola in dieci anni, se non quelle fossette intorno alla bocca, più pronunciate, che la faceva sembrare appena più "vecchia". Ma di certo non sembravano passati 10 anni... Un abbraccio di pochi istanti, che mi è sembrato lungo di tutti gli anni che non l'ho vista, di tutte le volte che l'ho pensata.
Ci allontaniamo e ci teniamo le mani.
La biblioteca è stranamente deserta oggi. Per fortuna, mi sarei vergognato di una tale effusione davanti ad altre persone.
-Cosa ci fai qui?- le chiedo.
-Sto lavorando qui a partire da oggi. La signora che c'era ha dato malattia e sto facendo questa sostituzione. Tu invece?-
Io:-Mah io vengo sempre qui a studiare ultimamente. Una mia amica mi ha detto che si studia bene e qundi ho provato, e devo dire che ha ragione!- Pausa, sorrido: -Non ci vediamo da quel giorno...-
Lei: -Sei stato cattivissimo quel giorno... ma per fortuna le cose cambiano nella vita, no?! Si sta male e si cresce. Poi in adolescenza si prende tutto sempre seriamente. Le emozioni sono vissute al cento per cento... non ti ho mai perdonato del tutto. Vederti qui è stato come se mi avessi aperto il petto, infilato una dinamite e richiuso....-
Le mie risate scoppiano d'improvviso: -Il tuo sarcasmo è rimasto immutato, come il tuo sorriso e il balsamo che usi!!-
-Così come quella tua acconciatura orribile e la camicia da sfigato ascoltatore di grunge... Ti prego...- E mi sorride in quella maniera che già dieci anni fa mi attirava.
-Vabbe senti, sono sotto tesi e devo finire di scrivere questo capitolo stamattina quindi vado. Aspè, un ultima cosa...Ti va di prenderci un caffè un pomeriggio di questi?-
-Ah si... come al solito preferisci le altre cose a me e poi fai il bello invitandomi a prendere il caffè... vedremo se mi va. Ci penso su e quando te ne vai di qui ti do la risposta!-
Le sorrido: -Va bene allora. A dopo.- Faccio per andare al mio posto quando mi ferma: -Il tesserino?-
E penso: "ora mi dirà che non so tenere manco un semplice cartoncino in modo che non sembri trasandato..." porgo il tesserino.
-Trasandato, spiegazzato, ma valido... puoi entrare- Mi sorride ancora.

Mi siedo al mio posto, che guarda dritto verso il banco dove si trova Luisa. Ho difficoltà a concentrarmi... chi me lo doveva dire che avrei fatto questo incontro? Lei è li che guarda il pc e io che spero che mi guardi almeno un attimo... e la tesi non si scrive da sola... vediamo che riusciamo a combinare oggi, va...

Mi serve il primo libro. E come al solito devo andare al banco e chiedere all'addetta. Che però oggi è Luisa. Ok, mi sforzo e cammino fino da lei.
-Mi servirebbe questo libro...- e le porgo il titolo e l'autore.
-Mmmm... fammi pensare... dovrebbe essere laggiù! Seguimi!-
Mi metto dietro di lei e ovviamnete oltre che la linea delle spalle, il mio sguardo scende fino al sedere. Il tailleur bianco ghiaccio che indossa si muove con il suo ritmico alternare delle gambe, coperte dagli stivaletti. E la sua chioma morbida scende sulle spalle come un velo di seta si adagia sui cuscini. Perso nel paradiso non mi accorgo che si è fermata e le vado contro. Scarto appena di lato ma non abbastanza e colpisco sia lei e sia lo scaffale accanto, e in men che non si dica mi ritrovo a terra sdraiato, coperto di libri senza accorgermi di aver portato anche lei nella caduta. E fra i libri il suo viso davanti al mio. Un attimo gli sguardi si incrociano, entrambi li muoviamo inconsciamente e lentamente verso le labbra. Ci riguardiamo. Un bacio labbra-labbra. Poi le mie mani su muovono velocemente a incorniciare il viso di lei, con le dita che si addentrano nei suoi capelli che scendono fino al mio viso. E lei che prende la mia testa da sotto, dall'attaccatura del collo e mi porta a sè. Un bacio questa volta più profondo, più appassionato. Riapro gli occhi, è tutto vero. Li richiudo, non voglio che la ragione faccia il suo corso. Non adesso. Un attimo dopo, ci fermiamo entrambi, contemporaneamente apriamo gli occhi e ci guardaimo. Una sorriso. Nessuna parola.
Ci rialziamo, aiuto a sistemare i libri che sono caduti per terra. Guardo il mio pc, e guardo lei. Le mie mani dietro la testa cercano di trovare una frase, una parola, anche una sola sillaba da pronunciare.
-Non dicaimo niente.- fa lei. -Non diciamo niente.- Le rispondo. Un altro sguardo ancora. Poi entrambi ci dirigiamo ai nostri posti.
Rimango seduto neanche un minuto. A passo svelto vado al banco dove Luisa sta fingendo di essere occupata. La guardo, le do il tesserino, lei lo timbra, lo riprendo. Riguardo quegli occhi. Esco, quasi di corsa dal palazzetto di fine ottocento. All'aria aperta, dove il caldo può essere per fortuna ancora più forte di quello che ho provato in biblioteca, facendomi sentire fresco.
Riprendo la biciletta e torno a casa pedalando veloce. Con gli auricolari a palla nelle orecchie ascoltando i Red Hot Chili Peppers. Seminando lacrime per la strada.



Un racconto venuto così. Non è bello. Non vuole esserlo. E' solo un'altra storia.

domenica 19 febbraio 2012

Razionaliz... SENTIRE!

Si è concluso il seminario di febbraio della scuola di osteopatia del CSOT di Roma. Il quinto anno è nel pieno dell’ondata e mi sento sempre come se non fosse abbastanza per lavorare.
Abbiamo consolidato tante idee e smontate altre. Abbiamo fatto pratica e teoria. Abbiamo studiato e scherzato. E sono contento che ogni volta esco dal corso con delle domande in più.
Domande che non riguardano l’applicabilità o meno di tecniche, ma semplicemente la possibilità di praticarle.
Ma questa volta, c’è una cosa che mi attanaglia i pensieri. E stranamente non è una domanda. Ma un’affermazione.
Ora prima di continuare, devo fare una parentesi.
Dal 2007 ho cominciato a credere che esistono dei segni, che dovremmo cogliere per fare delle scelte. Diciamo che mi piace credere che la strada che facciamo, ci viene suggerita. E non intendo che ci portano per mano indicando dove girare, ma suggerita. Sottovoce. Dobbiamo stare attenti a capire cosa dice il suggerimento, tante volte è difficilissimo ascoltarlo.
Detto questo.
La scuola di osteopatia che frequento, ma il fatto stesso che faccio osteopatia, è stato un segnale. Ma ne parlerò altrove.
Tornando a noi.
Qualche giorno fa ho avuto la possibilità di riflettere su una cosa che ho fatto che non aveva molto senso… anzi.. non ne aveva affatto. O meglio: ne aveva ma solo perché avevo una certa fretta. Giustificata da cosa non so. Comunque anche di questa storia ne parlerò altrove, se mi andrà. Riflettevo sul fatto che non bisogna avere fretta nella vita, bisogna imparare ad aspettare. Perché le cose arrivano. E solo quando uno è disposto ad aspettare, solo allora accadono.
È come la storia del caffè. Quando vai a controllare non esce mai, ma se ti allontani a fare altro sporchi tutta la cucina. :) Ero quindi in un pub di bisceglie, dopo che avevo fatto questa cosa che non mi piace, e alzo lo sguardo e leggo: good things come to those who wait. Non è un segno chiaro e tondo? :)
Poi vado a lezione a Roma e i prof insistono sul fatto che quando facciamo i test, soprattutto quelli in cui si richiede una palpazione più fine, dove il movimento non è macroscopico, si richiede pazienza. Non dobbiamo stare li a chiedere che succeda qualcosa, ma dobbiamo metterci in ascolto dei tessuti. Dobbiamo essere recettivi e non induttori. Il che a dirsi è facile, ma provate a mettervi con i palmi delle mani sulle scapole e sentire che direzione prendono!!!!! Oppure sulle gambe del paziente e “vedere” che movimento fanno… vabbè… tempo al tempo… devo imparare anche questa cosa.
Inoltre, e con questo mi ricollego a prima quando dico di una affermazione che mi attanaglia i pensieri.
Alain ci ha detto: “Qualcosa di importante, colpisce subito. Se cercate, vuol dire che state elaborando”.
Quanto è reale questa affermazione anche al di la dell’osteopatia? Quante volte cerco qualcosa razionalmente, invece di “sentirla”? E quante volte è successo di sentirla ma di averla elaborata, facendola sfuggire? Mi dedicherò con più attenzione alle cose che “sento” e piuttosto che razionalizzarle le vivrò. Come quando ti tuffi dallo scoglio da sopra la grotta a Porto Selvaggio. Ma questa è un’altra storia.

Pelle

“È facile averti, se chiudo i miei begli occhietti spenti” [cit.]

Gli afterhours hanno scritto un brano che hanno chiamato “pelle”. Il primo aggettivo che mi viene in mente è: coinvolgente.
Ma questo post non parlerà di un brano che si deve ascoltare e vivere per sentirlo come lo sento io.

Quando conosco una persona, la stretta di mano, lo sguardo, la postura, l’odore e forse tanto altro, mi fanno avere un’immagine di quella persona detta “a pelle”, cioè di primo impatto. Perché si dice così?

Un cenno di embriologia è d’obbligo. La pelle deriva dallo stesso tessuto che successivamente si specializzerà in tessuto nervoso. E non a caso quando abbiamo delle reazioni, la pelle le manifesta. Brividi, pelle d’oca, pelle fredda.
Ci sono delle persone che a pelle sono antipatiche, spero sempre di sbagliarmi in quei casi.
L’odore, la stretta di mano, la voce, determinano nella mia mente una corrispondenza tra quella persona che ho appena conosciuto e lo stato di benessere, o malessere mio interno. In quest’ultimo caso, la conoscenza non è incentivata a protrarsi, tant’è che poche volte sono stato smentito dopo aver avuto la sensazione che “a pelle” una persona non mi piace. C’è pure da dire che sono anche un pochino rigido… e spesso non permetto agli altri di farsi conoscere.
Il contrario, quando una persona mi piace, può variare di molto. Tra tutte le cose cui faccio caso, odore, stretta di mano, occhi, sorriso eccetera… l’odore è quello che determina quanto tipo di contatto sono disposto a condividere con quella persona. È incredibilmente preciso. E non parlo di profumo che uno indossa perché li si può aprire una parentesi enorme sul perché una persona dovrebbe indossare un profumo. Ma non è questo il post adatto. Parlo dell’odore che senti nelle mani, nei capelli, nel respiro. Questo fa la differenza rispetto agli altri sensi.
L’olfatto.
Siamo così abituati a usare gli occhi, che non ci accorgiamo che l’olfatto determina reazioni incredibili in noi e anche molto precise. Reazioni che vanno dall’improvvisa sensazione di fame, alla terribile puzza di patate andate a male, passando per una infinità di odori, tra cui quello appunto della pelle.
Non necessariamente tra l’altro una persona sudata ha un cattivo odore. Certo, tutti amiamo il profumo di un balsamo e vorremmo tuffare la faccia dentro una capigliatura appena lavata. Ma la pelle emana odori che noi riconosciamo come buoni o cattivi, anche a feedback della nostra esperienza, appunto.
L'olfatto è il senso che ci permette di avere una eccitazione sessuale. Tant'è che alcune lesioni al cranio possono determinare una impotenza... dovuta però non all'attrezzatura di sotto, ma alla possibilità di percepire alcuni odori.
“A pelle mi è simpatica” “A pelle sembra interessante” “Mah… a pelle mi sta sul cazzo” sono tutte frasi che diciamo perché la nostra pelle è stata in grado di comunicare con l’altra persona senza dover per forza dire qualcosa. Perché la comunicazione non è fatta solo di parole, di voci, di domande e risposte. La comunicazione è fatta anche di silenzi. Come quella volta che una amica mi scrisse in chat: “non ho parole..” e le risposi “non servono..” ma questa è un’altra storia.

sabato 11 febbraio 2012

Perchè?

Perchè?
Perchè le sensazioni non corrispondono a quello che è nella realtà?
Forse c'è qualcos altro che non vedo? O non conosco? Forse c'è qualcun altro che non conosco ancora?
Continuo a credere che prima o poi ci sarà.
Devo avere pazienza, lo dice anche la guinnes: the good things come to those who wait... ma questa è un'altra storia..

venerdì 10 febbraio 2012

Accarezzami ancora

Sono disteso su un letto che non è il mio,
da una finestra arriva il suono di un pianoforte.
Su di me c’è una ragazza che mi stringe stretto,
cercando di non farmi andar via.

Eppur mi sembra di conoscerla quella ragazza,
l’ho vista un po’ di tempo fa. Rideva, con gli occhi,
con le labbra, con il collo, e con tutto il corpo.
Era felice quando l’ho vista, ed anche io lo ero.

E’ ancora distesa sul mio corpo e mi abbraccia,
mentre io rimango fermo con gli occhi aperti
osservando il cielo ed aspettando qualcuno
che mi svegli da questo sogno.

Sono disteso su un letto troppo duro e grigio,
e la ragazza mi sta baciando e sta piangendo.
Indossa un vestito verde come i suoi occhi,
ed un costume da bagno, ma oggi non le servirà.

La musica del pianoforte si è fermata,
e lei mi stringe sempre di più a se,
e mi accarezza, mi accarezza, mi accarezza,
e io continuo a non muovermi.

Qualcuno è arrivato a svegliarmi ma non dal cielo.
E’sceso da un auto e mi è corso vicino,
mi colpisce il petto con violenza,
e io continuo a non muovermi.

Accarezzami ancora ragazza,
posso ancora sentire la tua mano sul mio volto,
Colpiscimi ancora signore,
voglio svegliarmi da questo incubo.

Sono disteso sull’asfalto da due minuti,
e la ragazza si dispera, mi guarda negli occhi,
mi prende una mano, la stringe tra le sue,
piange e singhiozza, ma non può svegliarmi.

Sono disteso sull’asfalto da due minuti,
ma tutta la memoria e con essa i ricordi,
tra i quali posso ancora intravedere lei
stanno andando via da me in un liquido rosso.

Accarezzami ancora ragazza,
voglio sentire per l’ultima volta la tua mano,
la tua pelle sul mio volto, prima che mi portino via
in un posto dove non potrò trovarti.


Non ricordo quando ho scritto questa cosa, credo fosse il 2002 o il 2003. Mi si è presentata così alla mente. Con una nitidezza di colori e suoni che sembrava realtà. Ho semplicemente descritto quello che vedevo. Ho sempre pensato di incorniciarla con della musica... ma ancora aspetto l'ispirazione. Non è facile, almeno non quanto quella volta che ho scritto una ballata utilizzando dei sms che mi sono arrivati, li ho scritto di getto anche la musica.. ma questa è un' altra storia...

sabato 28 gennaio 2012

La chiave giusta

Ecco un motivo per scrivere.

L’assenza dal blog non è stata determinata da una mancanza di storie, anzi ne sono successe tante che prima o poi racconterò. Ma aspettavo che ci fosse qualcosa che mi colpisse particolarmente. E aspettando e respirando, quel qualcosa piano piano è arrivato.

Tu stai anni con la serratura chiusa, e sai che una storia, un racconto, quel particolare racconto che hai chiuso appunto con il lucchetto ormai rimarrà chiuso e non uscirà più. Perché è tuo, un avvenimento del passato che ormai non può più essere ripreso. Una persona che non potrai mai più rivedere e che ti ha dato tantissimo grazie a qualche sorriso e alla solarità che esprimeva, e alla bellezza dell’adolescenza.

Poi che succede? Le tue difese sempre alzate, sempre attento a non lasciare andare niente delle tue storie e dei tuoi racconti. Passa una persona e ha una chiave come la tua e con una facilità estrema, data dalla possibilità di accedere per conto suo al tuo stesso lucchetto, inserisce la chiave e apre.

E subito i ricordi cominciano a tornare alla luce. Un poco sfocati ma sempre pieni di emozioni, di sorrisi, di paure, di voglia di conoscere tipica di quando hai 15, 16 anni: il liceo scientifico, prima che ci fossero tutte le modifiche strutturali con i muri che chiudono qualsiasi possibilità di vedere attraverso le finestre il corridoio di fronte. Gli incontri durante gli intervalli per darsi gli appuntamenti per la sera o per un passaggio in motorino all’uscita. La curiosità di sentire un abbraccio, un bacio. Ti ricordi di aver scritto anche una cosa su un quaderno che chissà dove si trova…

Un brivido.

Poi ti viene in mente il giorno in cui senti la notizia sui telegiornali nazionali… e non ci credi che possa essere lei. Che nonostante il tempo passato e la lontananza di esperienze diverse, vieni toccato nel profondo. La tristezza che ti assale e la voglia di tornare a Bisceglie per una cerimonia dove sicuramente ritroveresti tante persone che non vedi da tempo. E anche lei, che chiude definitivamente ogni tua possibile idea di poterla rivedere per un saluto, come i tempi in cui bastava un sorriso e un cenno per dirsi tante cose.
La settimana bianca, la montagna, la neve, i Backstreet boys, la passeggiata mano nella mano con gli scii sulle spalle per accompagnarla a valle.. la serata in albergo dopo la gara di sci di fondo, in cui mi sono chiuso in me stesso, con la birra, per non pensare. O per pensare.

Tutto d’un tratto in pochi istanti mi sono venute in mente tante scene vissute insieme. E di fronte a me, quella persona con il mio lucchetto in mano, me lo porge e mi dice che nonostante la perdita, le fa piacere sentire parlare di questa persona, della sorella, morta nel 2005 in un centro estetico qui a Bisceglie.

E poi una foto di lei, che non vedevo da oltre quindici anni… i suoi occhi e il suo sorriso. La stella.

Questo è il motivo per cui amo conoscere gente nuova. In un modo o nell’altro le storie che può raccontare, sono storie che in parte possono parlare anche di me. Basta impegnarsi nell’ascolto e carpirne i particolari. Essi fanno la differenza.

Ancora una volta le mie barriere, di cui scioccamente vado tanto fiero, sono trapassate da un racconto. Da una persona, da un nome.

E improvvisamente mi riporta in alto, dove posso vedere “il tutto” con chiarezza. Grazie a un nome. E a un racconto di una persona che fino a una settimana fa conoscevo solo per sentito dire, oltre quindici anni fa. Simona. Ma questa è un’altra storia.